lunedì 10 dicembre 2018

Lussekatter: i gattini di Santa Lucia. Fra leggenda e tradizione.


Non ricordo neanche più da quanto tempo volevo provare queste brioche! 
Son sempre stata attratta dalla loro forma, dalla presenza dello zafferano nell'impasto e dalla loro buffa storia, ricca di tradizioni, leggende e contornata da un pizzico di magìa, quella che, inevitabilmente si respira nel periodo prenatalizio.
Leggendo di qua e di là ho incontrato tante versioni per questo impasto: con burro, senza burro, con le uova, ma anche no, con il miele o la melassa, con le patate o senza patate, con il latte o con l'acqua; insomma una gran bella scelta! In tutte le versioni però, due gli ingredienti immancabili: zafferano (spezia che amo tantissimo) e uva passa.
Ispirandomi quiquo e qua ho tirato fuori questa ricetta che mi ha fatto sfornare delle sofficissime e profumatissime brioche che accompagnano benissimo una tazza di caffè, di tè, o semplicemente un dopocena a lume di candela.
Finalmente è arrivata l'ora di provarle. E voi? Le avete mai fatte? Dai, che il 13 dicembre è in arrivo!
Intanto vi offriamo quelle appena sfornate nella cucina condominiale! ;-)  



INGREDIENTI (per una ventina di brioche)

550 g di farina 00 (W 280-300)
25 g di fiocchi di patate
80 g di zucchero
1 cucchiaino di sale
2 uova + 1 tuorlo
5 g di lievito di birra

230 g di latte
100 g di burro
1 cucchiaino di miele
una puntina di zafferano

chicchi di uvetta per guarnire
latte per pennellare


(clicca per ingrandire)
Nella ciotola della planetaria (o in una qualsiasi ciotola se impastate a mano) unire la farina, i fiocchi di patate, lo zucchero ed il sale; mescolare grossolanamente con le mani per amalgamare gli ingredienti e formare una fontana, al centro della quale mettere uova e tuorlo.
Contemporaneamente, far scaldare il latte a circa 50 gradi e farvi sciogliere il burro; unire il pizzico di zafferano ed emulsionare fin quando è tutto sciolto e la temperatura è arrivata a circa 38 gradi. A questo punto unire anche il lievito e versare l'emulsione sulle uova, al centro della fontana. Impastare fino a raggiungere un composto sodo e al tempo stesso sofficissimo.
Mettere in una ciotola e lasciar lievitare fino al raddoppio, oppure trasferire l'impasto in frigo e proseguire al mattino del giorno dopo (se si è iniziato ad impastare la sera) oppure la sera (se abbiano impastato al mattino).
Fare delle porzioni di impasto di circa 60 grammi e formare le brioche (come da sequenza fotografica qui di lato); mettere un chicco o due di uvetta nelle curve della S e posizionare mano mano  che si formano su una teglia rivestita di carta forno. Coprire con un sacchetto da freezer e lasciare raddoppiare. Accendere il forno a 160° e dopo aver pennellato con del latte, infornare le brioche e lasciar cuocere dolcemente fino a leggera doratura.
Sfornare, lasciare raffreddare su una gratella e, appena tiepide, affondare il morso.
Enjoy! :-DDDD


CURIOSIAMO
In Svezia la festa di Santa Lucia è molto sentita nell’ambito delle tradizioni natalizie, tanto che la preparazione di questi dolcetti risale al seicento. Il nome Lussekatter sta infatti per “gatti di Lucia” in quanto, secondo la leggenda, il diavolo sarebbe apparso in forma di gatto quando Gesù Bambino stava offrendo dei panini a dei bambini. Il colore dorato dello zafferano starebbe dunque ad indicare la luce che guida i bimbi  che in Svezia, vestiti di bianco e con corone di candele sulla testa, per l’occasione sfilano in corteo portando questi dolcetti di pan brioche .
Un gradito approfondimento potete trovarlo qui.

Dite la verità, avete sorriso anche voi mentre leggevate la storia di Santa Lucia? ♥_♥
Buon proseguimento di settimana, amici lettori!
Ci leggiamo presto, che nella cucina condominiale è arrivato un dolcino speciale per le prossime feste!!!
Emmettì

martedì 23 ottobre 2018

Frustine di pane alla semola e il tempo delle rinascite


Ben trovati amici lettori! Come state?
È da qualche mese che non ci si legge, ma nulla è cambiato nella cucina delle svalvolate!
Sbuffi di farina, e lieviti che si credevano morti son sempre stati in mezzo ai piedi anche nelle giornate in cui c'erano 38 gradi all'ombra. Certo, ci voleva coraggio ad accendere il forno ed io non me lo sono fatto mai mancare, approfittando per fare sedute di sauna non indifferenti (che non hanno sortito alcun effetto, ma almeno erano gratuite!). :-DDDDDDD
Bando alle scemenze che ora dobbiamo parlare di cose serie. E il pane è una cosa seria.
Quando si panifica, si creano delle alchimie a volte impossibili da spiegare; praticamente dei dogmi di fede! Io un dogma ce l'ho avuto (ed è tutt'ora lì) nel frigorifero: il mio licoli. Venticinque grammi di materia sepolti in un barattolino e abbandonati per più di otto mesi in un vano del frigorifero. Non ho mai avuto il coraggio di disfarmene, anche se non lo usavo più.
Era maggio quando, parlando con la Socia Silvia, vien fuori il discorso di quello che in gergo si chiama "pseudo rinfresco", ovvero una tecnica del maestro Josep Pascual che consiste nel nutrire il lievito giorno per giorno ed averlo sempre pronto all'uso (maggiori dettagli a fine post).
È scattata una molla ed avevo deciso che per il mio licoli era il tempo della rinascita.
Non sto qui a descriverne colore, consistenza, odore (per non dire puzza) e, armata di molletta al naso, ho aperto il famoso barattolino e iniziato a rinfrescarlo (lui, il licoli) ogni mattina con acqua e farina.
Per una settimana, all'intoccabile  rito mattutino del caffè, seguiva quello di dare la pappa al lievito. Non credevo ai miei occhi: già al quarto giorno, mostrava evidenti segni di vitalità con bollicine piiiiiiiiiiiiiiiiiiiiccole piccole; dopo una settimana esatta è esploso in tutta la sua bellezza, profumo e consistenza. Una massa semiliquida piena di bolle cicciottelle ed un profumo che invitava addirittura all'assaggio.
Non vedevo l'ora di provare a farci qualcosa.
E qui, arriva l'altra mia bellissima Amica Silvia, che nelle chiacchiere quotidiane mi racconta tutte le meraviglie che cucina, soprattutto pane, pizza, focacce, schiacciate... (dovreste vedere che robe!).
Un giorno saltano fuori queste frustine  (andate a vederle e perdetevi in quelle foto anche voi, prego!).
Non ci ho pensato due volte! Mi son fatta passare la sua ricetta e son corsa ad impastare.
Il risultato? Eccolo qua! Un pane farcito che risulta di una golosità pazzesca.
Ovviamente, dopo la prima sfornata, l'ho replicato con diverse farciture (cipolle caramellate, trito di aglio olio e peperoncino, patè di carciofi, noci e gorgonzola, tocchi di cioccolato fondente) e diversi mix di farina; difficile decretare la versione migliore perché ognuna è stata più golosa dell'altra.
Tornerete a raccontarmi quale sarà invece la vostra preferita? Son sicura che se decidete di provare queste frustine, non le abbandonerete più, fosse solo anche senza farcitura da portare in tavola al posto del pane (e vi assicuro buonissime).
Ecco come farle.



INGREDIENTI (per 12-15 pezzi)

Per il pane
600 g di semola rimacinata di grano duro *
100 g di licoli (o di pasta madre solida pronta) **
350 g di acqua
50 g di olio di oliva
10 g di sale
semola per lo spolvero

*   in alternativa, qualunque altro tipo di farina e mix a vostro piacimento
** in alternativa 5 g di lievito di birra 

Per la farcitura
50 g di olive taggiasche tritate grossolanamente
4-5 filetti di pomodori secchi sott'olio, anch'essi tritati
qualche pezzetto di acciuga (facoltativo)


(clicca per ingrandire)
Sciogliere il lievito nell'acqua, aggiungerlo alla farina setacciata ed impastare (anche con la semplice tecnica delle pieghe in ciotola) aggiungendo successivamente sale ed olio.
Lavorare il tempo necessario fino ad ottenere una consistenza soffice ed omogenea; arrotondare l'impasto e metterlo in una ciotola unta con un velo d'olio. Coprire con un canovaccio umido e lasciar lievitare in luogo tiepido fino al raddoppio del volume iniziale.
Raggiunta la prima lievitazione, rovesciare la massa su un piano leggermente infarinato e dividere in due parti uguali. Lasciarne una da parte.
Ora, siccome mi sono intrecciata il cervello a cercare di mettere per iscritto come procedere per la formatura, se non mi capite guardate le foto a lato! :-DDDDDDDDDDDD
Con l'aiuto di un mattarello e la prima metà di impasto, stendere un rettangolo di circa 40x30 ad 1 cm di altezza; cospargere metà della superficie con la farcitura scelta e sovrapporre l'altra metà non farcita fino ad ottenere un nuovo rettangolo.
Ripetete la stessa cosa con la seconda metà di impasto, utilizzando magari una diversa farcitura.
Con l'aiuto di un tarocco o una rotella per pizza (o l'arnese che preferite) ricavare dai due rettangoli delle strisce di pasta larghe circa 3 cm ed attorcigliarle su se stesse formando tipo dei fusilli. Mano a mano che si procede con la formatura, disporre le frustine su una teglia ricoperta di carta forno e, una volta terminato tutto l'impasto, coprire con una busta da freezer ed attendere il raddoppio. Quando ci siamo quasi, accendere il forno in modalità statico a 200° e, raggiunta la temperatura, infornare fino a quando le frustine raggiungeranno un bel colore dorato. Negli ultimi minuti di cottura lasciare lo sportello in fessura: in questo modo si formerà una crosticina leggera ma croccantissima a cui sarà impossibile resistere.



Approfondimenti: mantenimento del lievito liquido secondo Josep Pascual

Questo principio di mantenimento del lievito fa’ sì che sia sempre nella forma attiva senza fare brusche risalite al momento del rinfresco o terribili ricadute dovute alla fine di cibo o alla sosta prolungata in frigo. Praticamente si pesa il lievito, si prende la corrispondente quantità di farina necessaria per il rinfresco settimanale seguendo la regola del rapporto 1:1:1 (lievito, farina e acqua) e la si suddivide dando al lievito una piccola parte ogni giorno.
Esempio: se ho 100 g di lievito, i 100 g di acqua e farina che useremo per il rinfresco settimanale, li dividiamo nei sette giorni, quindi al peso iniziale del lievito (sempre i 100 g) aggiungeremo ogni giorno 14 g di acqua e 14 g di farina. Non serve usare impastatrice ma basta il contenitore stesso del lievito (ovvero il barattolo) una forchetta e soli due minuti di tempo.
Questa tecnica di mantenimento porta i seguenti vantaggi:

1) facilità estrema nei rinfreschi: il tutto avviene in un minuto e sporcando solo una forchetta;
2) non ci sono scarti di lievito e non si butta via nulla;
3) sentore acido inesistente;
4) tutti i profumi del lievito naturale;
5) sempre pronto all'uso: si tira fuori dal frigo e si mette direttamente nell'impasto senza attendere il tempo di ulteriori rinfreschi, raddoppi e collassi.

Fonte: http://www.laconfraternitadellapizza.net/lievito-liquido-o-licoli-limportante-e-che-funzioni-alla-grande/

Per oggi è tutto! Forse ho chiacchierato anche troppo.
Vi lascio un ultimo scatto e chissà che venga anche a voi la voglia di correre in cucina ad impastare!
Io intanto queste frustine le porto nel cesto delle ricette itineranti di Panissimo, custodito con cura ed amore dalla nostra Sandra!
A prestissimo.
Emmettì.




                                           Lorenzo Giovanotti 



lunedì 30 luglio 2018

Il gelato senza gelatiera di Martha Stewart ed un post a 4 mani.


Ormai ci ho preso trooooppppooo gusto... e comunque non è colpa mia! È lei che me l’ha chiesto!!!!!!
Tutto è cominciato da un messaggio whatsapp, che riporto qua sotto paro paro, spedito alla sociessa Emmettì: 
"Ciao cicciuzza!!! Sai che ho appena fatto una porcata pazzesca?!?!?!?!?!? Il gelato senza gelatiera di Martha Stewart con solo panna montata e latte condensato… pensavo di non farcela a metterne un po’ in freezer perché diventi a tutti gli effetti un gelato…ne ho mangiato tantissimo dalla planetaria così a temperatura ambiente… una porcella insomma!!!!”

Da lì scambio di ricetta e domanda con tanto di cuoricini da parte della sociessa Emmettì:
“Ma che poi ci fai anche un bel post??”; io: “Okkei un post porcelloso!!!” e lei: "Uhahahahahahahahahah! Il post porcelloso già mi piace (cuoricini).”
Passa qualche ora ed Emmettì mi scrive che ha già fatto il gelato (come fa questa che lavora 36 ore al giorno a trovare il tempo per fare tutto me lo chiedo sempre)!!!!!

Perché l’ho definita una porcata?? Perché il gelato senza gelatiera è una figata pazzesca, fatta solo da panna montata e latte condensato (ed estratto di vaniglia per dargli un buon saporino vaniglioso), si mescola tutto per benino, si mette nello stampo da plumcake e via in freezer per sei ore. Basta, nulla più!!!!!
Si tira fuori dal freezer, si attendono 5 minuti a temperatura ambiente e poi via di pallozze gelatose! Niente gelatiera dunque, niente attrezzi messi in freezer prima dell’uso, niente tuorli da pastorizzare, niente attesa della mantecatura. Vi pare poca cosa?
Io l’ho trovato stra stra buono sia così al naturale (è dolce eh, c’è poco da fare!!! Ma a me le cose dolcissime piacciono molto!!!!) che innaffiato con la mia porcata numero 2: il caramello salato di Ernst Knam (si l’occhialuto re del cioccolato, proprio quello). Il connubio gelato senza gelatiera/caramello salato è stata la porcata numero 3 fatta in soli due giorni… come c’è da aspettarsi non è certo un gelato ipocalorico per la dieta estiva, ma un comfort food da urlo!!!!

La furbetta Emmettì, per poterlo assaggiare in anteprima, aveva preparato anche un bicchierino a parte per poterlo mangiare la mattina dopo: e difatti la mattina dopo (ore 6!!!!!) ve la dovete immaginare al tavolo della sua cucina che faceva colazione con gelato e caffè, perché avendolo trovato troppo dolce, lo ha affogato nel caffè amaro (e qui riporto fedelmente la nostra conversazione whatsapp) ho sparato nel bicchierino una capsula di Nespresso e all’assaggio sono svenuta! Il contrasto dolce/amaro è stata la perfezione assoluta! Irresistibile!!!!"
Per fare le bellissime foto delle pallozze Emmettì le ha decorate con granella di pistacchio e pepite di cioccolato fondente; poi ci ha pure aggiunto la granella di arachidi, mandorle e nocciole; insomma ha rifatto la parte superiore del cornetto Algida, ma “ovviamente mooooooooooooolto molto più buono!!!!! (Emmettì dixit!).
Insomma, secondo noi questo gelato è da fare, rifare e ri-rifare (e difatti lo abbiamo fatto, rifatto e ri-rifatto!!!!).


INGREDIENTI
Per la base gelato
- 500 g di panna fresca di latte (ben fredda)
- 400 g di latte condensato* (freddo anche lui)
- estratto di vaniglia
- *260 g per una versione meno dolce

Per la "farcitura" o copertura
- caramello salato (vedi torta Giulio di Tammy Tam)
- granella tostata di mandorle, nocciole, pistacchi, arachidi
- scaglie di cioccolato fondente
- caffè amaro

Per il latte condensato home made***
- 250 g di latte
- 150 g di zucchero semolato
- 5 g di amido di mais
- estratto di vaniglia (facoltativo)
Riunire gli ingredienti in una casseruola dal fondo spesso e mescolare fino ad ottenere un composto liscio e senza grumi. Mettere su fuoco dolce e portare a bollore mescolando spesso per almeno 20 minuti; a composto freddo, prima di invasettare aggiungere l’estratto di vaniglia. 
Con queste quantità si ottengono 250 grammi di latte condensato, quindi raddoppiare la dose per averne abbastanza per fare il gelatazzo!!!! Si conserva in frigo per circa tre settimane.

PREPARAZIONE
Versare in una capiente ciotola la panna ed il latte condensato (entrambi molto freddi) e montare a neve ben ferma con una frusta a fili sottili; unire l'estratto di vaniglia e mescolare giusto il tempo per amalgamarlo al composto.
Versare in uno stampo da plumcake e porre in freezer per almeno 6 ore.
Quando è il momento di mangiarlo, tirarlo fuori giusto 5 minuti prima e farcirlo con colature di caramello salato o granella di frutta secca e scaglie di cioccolato (perché no entrambe le cose??
:-DDD).
Siamo certe che il gelato non tornerà mai più in freezer perché ve lo papperete tutto!

*** Il latte condensato si può trovare nei super già bello e pronto, però la tentazione di rifarlo a casa è stata troppo forte!!!! Quindi munita di carta e penna ho girovagato nel web trovando varie versioni della ricetta: alcune prevedevano il burro altre no.
Il primo tentativo l’ho fatto con una che prevedeva l’aggiunto di burro, ma sinceramente proprio non mi ha convinta: sarà perché avevo usato burro bavarese dal gusto un po’ intenso, sapeva disgustosamente di burro!!!!

Comunque... siccome non si butta via niente, io l’ho comunque utilizzato per fare il gelato, e devo dire che il gusto di burro per fortuna non si sentiva… il problema che ho incontrato però è che il latte condensato home-made era più liquido di quello comperato, (immaginando che il motivo fosse che il tempo di bollitura indicato per zucchero, latte e burro non fosse stato sufficiente a far evaporare tutta l’acqua) e quindi il gelato è risultato molto più cristallizzato rispetto a quello ottenuto con il latte condensato comperato.

Dato che co'  'sta storia del latte condensato mi ero incaponita, ho provato un’altra ricetta, senza burro (nel frattempo avevo controllato e tra gli ingredienti del latte condensato in barattolo di burro manco l’ombra) e che prevedeva una più lunga cottura. Questa mi ha decisamente più soddisfatta!
E voi ci proverete??? :-DDDDD


Visto che siete arrivati a leggere fin qui, vi meritate proprio una gran bella coppa di gelato! Come la preferite? Liscia? Con granella e cioccolato? Caramello? Dai, fateci sapere che io e Regina siamo pronte a prepararne in gran quantità! :-DDD
Buona estate amiche ed amici lettori! A rileggerci preeeeeestissimo!!
Regina, Emmettì 

CURIOSITÀ: il latte condensato

La storia del perché esiste il latte condensato è davvero molto interessante (e chi mai avrebbe pensato che dietro questo prodotto, che io erroneamente ho sempre definito “un’americanata”, ci fosse tanta storia!!!!).
Per il latte condensato, e più in generale per la conservazione degli alimenti, dobbiamo ringraziare un pioniere francese che visse a cavallo tra ‘700 e ‘800, il tal pasticcere Nicolas Appert; quella volta non si sapeva nulla, o quasi nulla, di batteri, contaminazione di microorganismi e agenti chimici o fisici, quindi non si sapeva il perché gli alimenti ad un certo punto cominciavano a marcire; si sapeva solo che prima o poi sarebbe successo.
        Il parigino Appert, solamente tramite tentativi, quindi empiricamente, capisce che due sono i punti fondamentali affinché gli alimenti possano essere conservati: il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica dei contenitori in fase di bollitura (tutte cose che adesso noi diamo per scontate ma quella volta assolutamente non lo erano). Quindi Appert mette a punto un metodo per privare il latte dell’acqua e quindi poi poterlo utilizzare molto più a lungo nella sua pasticceria.
        Cinquant'anni dopo l’americano Gail Borden, prendendo spunto dal metodo di Appert, lo modifica e tramite l’evaporazione del latte sottovuoto e l’aggiunta dello zucchero per aumentarne la conservabilità dà l’avvio alla produzione del latte condensato come lo conosciamo oggi. Tale latte poteva essere trasportato per più giorni senza andare incontro alle problematiche incontrate con il latte fresco ed è stato un alimento fondamentale per i soldati impegnati nella Guerra di Secessione. Da lì il boom di produzione negli Stati Uniti.
        Visto il successo del latte condensato, i fratelli svizzeri George e Charles Page vollero portare lo stesso procedimento utilizzato da Borden in Europa e fondarono la Anglo-Swiss Condensed Milk Company a Cham, in Svizzera, nel 1866; da lì il latte condensato verrà poi distribuito praticamente in tutto il mondo.
La Anglo-Swiss confluirà poi nella ditta Nestlè, che ora è leader mondiale per la produzione di latte condensato, uno dei cibi in scatola più diffuso al mondo.
Fonti:
http://www.ciboinscatola.it/
https://pomodoro.museidelcibo.it/wp-content/uploads/sites/5/2018/02/La-conservazione-degli-alimenti-fra-storia-e-cronaca.pdf
https://www.salepepe.it/news/notizie/latte-condensato-salvavita-ingrediente/
https://blog.giallozafferano.it/incucinaconmara/latte-condensato-senza-burro/




EDIT DEL 06 AGOSTO

Questo, invece, il gelato della socia Silvia con variegatura all'amarena.
♥ Me-ra-vi-glia! ♥



martedì 29 maggio 2018

Brodetto di seppioline alla marchigiana


Ci sono giorni in cui vado a fare la spesa con tanto di lista per evitare di comperare il superfluo, ma ce ne sono anche altri in cui mi accorgo che frigo e freezer son vuoti e allora esco di corsa senza annotare niente. La scena che si presenta poco dopo è la seguente: io con lo sguardo perso nel vuoto, come fossi atterrata su Marte e con la sensazione di camminare in assenza di gravità (in realtà mi accorgerò che invece la gravità c'è mano a mano che riempo i sacchetti!!!).  La cosa buffa è che poi mi ritrovo con delle cose acquistate senza essermene accorta.
Giusto oggi, mentre cercavo cubetti di ghiaccio mi son venute agli occhi delle seppioline che ho guardato con aria interrogativa come a dire "e voi che ci fate lì?".
Mentre cercavo di ricordare il come e il quando fossero finite nel cassetto del freezer, ho fatto mente locale su come avrei potuto cucinarle, prendendo la ricetta nel quaderno speciale, quello dei ricordi! ♥
Forse, quel giorno senza lista della spesa, inconsciamente già sapevo dove volevo arrivare. :-))
Il brodetto di pesce è una ricetta che mia nonna, fermana doc, si è portata dietro (insieme a molte altre della sua terra), quando con marito e figli si è trasferita nell'Agro Pontino.
Un abbinamento insolito quello tra pomodoro e aceto, ma vi assicuro che dona un tocco speciale a questa preparazione!
Come leggerete più sotto, nella sezione cuoriosità, il vero brodetto prevede una quantità molto variegata di pesce. Io ho scelto di riproporre quella che veniva preparata per i bambini con le sole seppioline così da farli mangiare tranquilli perché senza spine! :-))
Per un pranzo o una cena leggeri e con il sapore del mare, ecco la mia versione facile e veloce del brodetto marchigiano.


Ingredienti (per 4 persone)

2 kg di seppioline già pulite* (vanno bene anche quelle surgelate)
500 g d'acqua
1⁄3 tubetto di concentrato doppio di pomodoro
½ bicchiere di vino bianco secco addizionato con 3 cucchiai di aceto
1 spicchio grande d'aglio in camicia
70 ml di olio evo
pepe o peperoncino q.b
prezzemolo q.b.
Non pensate che la quantità di pesce indicata sia esagerata per il numero di commensali. 
Le seppioline si riducono molto in cottura, ma soprattutto si vorrebbe che nel piatto ce ne fossero state anche di più!!! :-)))))


(clicca per ingrandire)
Lavare le seppioline sotto l’acqua corrente e lasciarle scolare in un colapasta.
In una tazza emulsionare l’acqua con il concentrato di pomodoro fino ad ottenere una salsa.
Prendere un tegame dai bordi alti, versarvi l'olio e far soffriggere l'aglio per circa un minuto; poi aggiungere le seppie, lasciando rosolare per 5 minuti a fuoco vivace. Sfumare con vino e aceto e, dopo che saranno evaporati, abbassare la fiamma e continuare la cottura per circa 20 minuti. Trascorso questo tempo, aggiungere la salsa di pomodoro e lasciar cuocere sempre a fuoco moderato per altri 20 minuti. In questo secondo tempo di cottura, le seppioline raggiungeranno la giusta consistenza, cioè risultare tenere senza essere gommose. Nel caso in cui fossero ancora tenaci, proseguire la cottura per altri 10 minuti.
Regolare di sale solo se se necessario (io non ne ho messo) e, a fuoco spento, versare un trito di prezzemolo fresco insieme ad un po' di pepe o peperoncino, secondo i gusti.
Lasciare intiepidire un pochino e servire le seppioline con il loro brodetto in un piatto fondo accompagnando con fette di pane tostato o, meglio ancora con delle friselle per un'esplosione di gusto a 360 gradi! :-DDDDD


Vi lascio l'augurio di una splendida giornata. Che il sole splenda dentro e fuori di voi!
Emmettì.

Curiosità.

Nelle Marche il brodetto non è solo una zuppa di pesce, è anche una parola magica, un abracadabra capace di scatenare discussioni infinite. Quasi a voler prevenire contese campanilistiche sul luogo di nascita, il brodetto ha fissato i suoi natali sul mare ad opera dei pescatori che usavano cuocere la “muccigna” (l’insieme dei pesci che per qualità e pezzatura non erano adatti al mercato) in un guazzetto fatto con acqua di mare, aceto e olio di oliva detto “masa”.
Sbarcato sulla costa il brodetto, ha assunto fisionomie diverse a secondo della latitudine e della fantasia delle mogli dei pescatori. Oggi, le ricette classiche sono quattro: di Fano, Ancona, Porto Recanati e San Benedetto del Tronto. 
Ma, coerente col suo mito, il brodetto rimane una ricetta elastica e disponibile a essere interpretata in modo diverso in ciascuna località della riviera e quasi in ogni famiglia.
Vi faccio una panoramica concisa dei quattro tipi che hanno tutti la caratteristica comune della presenza di una grande varietà di pesci adatti alla zuppa e cioè scorfano, tracina, rana pescatrice, triglia, gallinella, razza, palombo, rombo chiodato, San Pietro, sogliola, merluzzo, cefalo, gronco, seppia, calamaro, canocchia, scampo, gambero, granchio, lumachina, lumacone, cozze, vongole e conchiglie varie.
A Fano lo si usa cuocere in tegami di coccio, con pomodoro maturo e vino bianco al posto dell’aceto sempre presente nelle altre versioni.
Ancona vanta la ricetta più immutabile. Comprende 13 varietà di pesce, aglio cipolla, pomodoro rosso e aceto. Si distingue per la precottura di seppie e calamari per 15 minuti e per l’aggiunta di un po’ di concentrato di pomodoro allungato in acqua leggermente salata.
A Porto Recanati resiste il brodetto “in bianco” di era pre-pomodoriana, ma sarebbe più esatto dire in “giallo dorato”, come sono le tonalità cromatiche donate dallo zafferanone o zafferanella, un’erba selvatica, “cartamo” in italiano, che cresce abbondante nell'entroterra.
San Benedetto del Tronto è l’unico porto a reclamare la nascita del brodetto non in mare ma nel quartiere popolare “u labirintu” abitato da pescatori, pescivendoli, calafati, spagaroli e altri lavoratori del mare.
Qui il brodetto è molto chiaro, con pomodoro verde, peperoni verdi, peperoncino, cipolla e aceto.
Un quinto, non incluso nella ricette classiche, ma molto interessante perché riunisce le caratteristiche di quelli più settentrionali e dei meridionali è quello di Porto San Giorgio, con pomodoro verde, pomodoro rosso, peperone, peperoncino e aceto.
Fonte: dal web.


martedì 22 maggio 2018

Biscotti alle nocciole e cioccolato bianco di Leonardo Di Carlo.


Eccomi di nuovo qui ospitata dalle carinissime sociesse (o sempre o mai insomma, ahahahahaha!!).
Bèh a mia discolpa posso dire che sono state loro ad insistere per la mia presenza qui.
Dopo aver incontrato virtualmente le sociesse nel web mi sono venute (l’ordine sinceramente non me lo ricordo):
1. la biscottite acuta
2. la sfoglite acuta
3. la pizzite acuta
Prima di conoscerle non avevo mai fatto biscotti, non avevo mai fatto la pasta sfoglia e avevo fatto con poco successo la pizza. Dopo averle incontrate è successo quello di cui sopra, ovvero, mi è venuta la malattia per i biscotti, la pasta sfoglia e la pizza.
In particolare poi per i biscotti necessitavo di stampi, stampetti e stampini e quindi mi è pure venuta la caccavellite acuta; c’ho un cassetto della cucina tutto pieno di attrezzetti per fare biscotti.
Devo dire che fare colazione i biscotti fatti con le proprie mani è una coccola che ci si fa e che aiuta alla grande ad iniziare la giornata! Certo c’è lavoro, ma il risultato è impagabile! Tra l’altro poi, se uno, in un fine settimana, gli prende la biscottite, ne può fare tanti e poi, come mi ha insegnato la sociessa Emmettì, li butta in freezer e li lascia lì per i momenti difficili: dieci minuti fuori dal freezer e sono pronti per essere pappati.
Questi di Leonardo di Carlo a me piacciono davvero tantissimo: viene fuori una frolla quasi “vetrificata”, si sciolgono in bocca e sono una vera e propria botta di vita (il burro c'è, c'è poco da fare, non sono biscotti per fare la dieta pre-estiva, ma chissene, il gusto è impagabile… e poi c’è pure il cioccolato bianco che io amo alla follia!).


Ingredienti:
150 g di burro
100 g di cioccolato bianco
  70 g di zucchero di canna
  75 g di farina di nocciole
 2,5 g di bicarbonato di sodio
175 g di farina

(clicca per ingrandire)
Sciogliere il cioccolato bianco a fuoco dolcissimo e lasciare che torni alla temperatura di 35° C.
↪ Se non la si ha già pronta ridurre in farina le nocciole col mixer.
↪ Rendere cremoso il burro, fatto precedentemente ammorbidire per una mezz'oretta fuori dal frigorifero.
↪ Aggiungere il cioccolato bianco fuso, quindi lo zucchero, le farine e il bicarbonato: il composto risulterà alquanto morbido.
↪ Porlo tra due fogli di carta da forno e stenderlo all'altezza desiderata (io li ho fatti di 2 mm, usando la mia nuova super caccavella, il mattarello con gli spessori….una figata pazzesca, vengono tutti perfettamente uguali!!!).
↪ Mettere in frigo per almeno un paio d’ore, ma anche di più, nella parte più fredda, in modo che il composto si indurisca bene.
↪ Coppare nella forma preferita e posizionare i biscotti su una teglia ricoperta di carta forno.
↪ Reimpastare i ritagli e ristendere l’impasto: la prima volta si può fare tranquillamente perché l’impasto sarò ancora freddo di frigo, poi diventerà sempre più difficile tagliarlo con gli stampini perché sarà molto appiccicoso; quindi sarà necessario rimetterlo in frigo per almeno una decina di minuti.
↪ Cuocere a 150°C per circa 15’ (i biscottini devono risultare dorati in superficie, per la presenza del lattosio, dice Leo).
↪ Lasciare raffreddare completamente prima di rimuovere i frollini dalla placca, pena la rottura degli stessi; sono veramente molto fragili!!!!
Io li ho messi sotto una campana di vetro e dopo 4 giorni erano ancora friabili, come appena fatti…dopo 4 giorni non lo so.. .li avevo finiti ahahahahahah!
Per le foto dei biscotti ringrazio tantissimo la sociessa Tammy Tam che li ha replicati e li ha resi bellissimi…difatti è evidente che i biscotti nel forno non sono quelli delle foto ahahahahaha…le mie doti fotografiche purtroppo sono nulle! :-(
Regina.



Un ringraziamento speciale alla nostra Regina per averci regalato quest'altra meravigliosa ricetta!
Le tue amiche svalvolate, Tamara, Silvia ed Emmettì

*.:。*゚゚・.。.:*

lunedì 16 aprile 2018

Crème brulée di Leonardo Di Carlo (e della Regina condominiale!).



È con immenso piacere che oggi lasciamo la cucina condominiale alla nostra amica Regina! A poco più di un anno di distanza è un onore averla nuovamente con noi e leggere delle sue scorribande culinarie!!! Anche oggi ci regala una ricetta dolce e le lasciamo subito la parola perché c'è da divertirsi e da leccarsi i baffi con questa buonissima crème brulée! 


Allora... tutto inizia dal fatto che sono sempre alla ricerca di ricette con solo tuorli: da un pezzo io e la mezza mela quando facciamo la campagna panettoni/pandori o colombe/focacce abbiamo deciso di comprare solo i tuorli e non le uova intere. A parte il fatto che poi rimangono sempre quintalate di albumi che mi spiace buttare via, tocca sempre a me rompere 'sta valangata di uova, quindi vai di brik di tuorli! Solo che poi anche 'sti tuorli avanzano sempre, e anche questi non mi va di buttarli via e quindi ecco qui il perché di questa ricetta.
In realtà questo non è l’unico perché; il perché principe è che io amo alla follia la crema bruciata, se sono fuori a cena e tra i dolci c’è questo, io faccio a meno del secondo, per dire, piuttosto di non avere spazio per il dolce. Insomma è il mio dolce al cucchiaio preferito e, come diceva Amélie Poulain nel "Favoloso mondo di Amélie", uno dei piaceri della vita è proprio rompere col cucchiaino la crosticina di zucchero caramellato della crema bruciata. 
Però però, non sempre nei ristoranti c’è la crème brulée; più spesso si trova la crema catalana, che io ('gnurante come una cucuzza) pensavo fosse la stessa medesima cosa: in realtà no, no, e proprio no!!! Sono due cose completamente diverse e, dopo la ricetta, vi racconto il perché. :-))
Ecco, appunto, andiamo alla ricetta che, nonostante l'autorevole firma è veramente semplicissima ma di grande effetto!
L'unica accortezza è fare attenzione alla cottura e soprattutto alla temperatura del forno: controllate con il termometro a sonda l’effettiva temperatura del vostro forno e fate attenzione che durante la cottura sia stabile: Leo Di Carlo raccomanda che la temperatura al cuore del prodotto non deve assolutamente superare gli 85°C (temperatura ottimale per la corretta coagulazione del tuorlo)
Una volta non mi sono accorta che il forno era andato a 190°C e invece di una crema ho ottenuto una frittata, il tuorlo si era tutto stracciato... 
A me la frittata piace, ma quella vi assicuro era davvero disgustosa!!!!! :-DDDDDDD
(clicca per ingrandire)


Ingredienti (per 8 cocottine)

500 g di panna fresca da montare 
120 g di tuorli 
105 g di zucchero semolato 
 0,5
g di sale 

    1 bacca di vaniglia 
zucchero di canna per la crosticina



- Mettere la panna in un pentolino con la bacca di vaniglia  e portare quasi a bollore a fuoco medio; chiudere il pentolino con il coperchio e lasciare in infusione per almeno 5 minuti (ma se sono di più anche meglio!).
- Nel frattempo dell’infusione sbattere i tuorli con lo zucchero e il sale (io non ho la bilancia che pesa 0,5 grammi quindi ho deciso di metterne un pizzico), aggiungere ai tuorli la panna fatta passare attraverso un colino a maglie fitte (in modo da eliminare la pellicina di superficie che si sarà formata) e mescolare bene. 
- Accendere il forno a 150°.
- Preparare le apposite cocottine per cottura al forno in una teglia a bordi alti;  riempire le cocottine del composto di tuorli zucchero e panna più o meno fino a tre quarti dell’altezza con un mestolo.
-  Riempire la teglia con acqua (io ho usato acqua a temperatura ambiente, in rete ho trovato che qualcuno consiglia di mettere acqua bollente;.io onde evitare “scottamenti” uso acqua presa dal rubinetto e ho sempre ottenuto ottimi risultati) fino circa a metà dell’altezza del bordo delle cocottine facendo attenzione a non far entrare acqua nelle cocottine. 
- Coprire molto bene con carta stagnola e quindi porre le teglie nel forno già caldo e lasciar cuocere per circa 45-50 minuti; controllare ogni tanto la cottura: la crema è pronta quando muovendo la teglia la crema si presenta soda e non fluida.
- Con molta attenzione togliere la teglia dal forno e lasciar raffreddare il tutto a temperatura ambiente. Coprire ciascuna cocottina con pellicola e porre in frigo; attendere il completo raffreddamento prima di servire. 
- Spolverare la crem brulée di zucchero di canna  e “bruciare” con l’apposito ferro o con il cannello.
- Rompere la crosticina col cucchiaino, affondarlo nella crema e godere.

 


Suggerimenti.
❀ - Per questa ricetta consiglio vivamente di utilizzare la bacca di vaniglia, e non l’estratto: gli aromi che sprigiona la bacca intera sono molto più intensi  (poi io la bacca la recupero e la riuso almeno un’altra volta, l’aroma è comunque ben presente!!!).
❀ - Le apposite cocottine per crème brulée (larghe e basse) sono assolutamente necessarie per una cottura ottimale della crema. 
❀ - È necessario coprire con stagnola la teglia con le cocottine affinché in cottura non si formi un’antipatica pellicina sulla superficie, che in fase di degustazione è davvero fastidiosa.  
❀ - Io per bruciare lo zucchero di canna ho sia il ferro che il cannello, ma .devo dire che il cannello va molto meglio ed è subito pronto all’uso; il ferro deve essere messo direttamente sul fuoco per molto tempo prima che diventi incandescente e poi deve essere riscaldato più volte se bisogna bruciare più cocottine. Il cannello in realtà io lo uso solo per bruciare la crème brulée, ma c’è chi lo usa per fiammeggiare la meringa oppure per gratinare le lasagne o anche per sformare i semifreddi, quindi secondo me è una delle caccavelle che assolutamente bisogna avere in cucina; c’è chi brucia lo zucchero anche utilizzando il grill del forno, ma io non ci ho mai provato. 

Curiosità.
Come dicevo all'inizio, crema catalana e crème brulée si somigliano, ma non son la stessa cosa. Mentre la brulée è una crema coagulata in forno, la  crema catalana viene cotta sul fuoco in un pentolino; inoltre, mentre la crème brulée è fatta solo con tuorli (mai uova intere) e sola panna (niente latte), la crema catalana è fatta con tuorli e latte (qualcuno aggiunge anche un po’ di panna).
Inoltre la crème brulée è una crema densa e vellutata grazie alla cottura in forno a basse temperature e bagnomaria o a vapore (temperatura che permette la lenta coagulazione delle proteine del tuorlo), la crema catalana si addensa grazie alla farina o all’amido, proprio come una crema pasticcera. I catalani dicono che è la crema catalana ad essere nata prima, i francesi dicono che la crème brulée è l’antenata della crema catalana, sta di fatto che entrambe sono una vera goduria. 
Voi quale preferite?  :-)))

Regina. 



 In attesa di conoscere le vostre preferenze, salutiamo e ringraziamo ancora una volta la nostra amica Regina per aver lasciato un'altra ricetta e tanta tanta allegria nella cucina condominiale!
Un abbraccio triplo carpiato da noi! 

Tamara, Silvia, Emmettì.


Buona settimana a tutti con una pioggia di sorrisi! 

giovedì 29 marzo 2018

Colazione di Pasqua: fiadoni (o soffioni) dolci abruzzesi.


Pasqua si avvicina alla velocità della luce ed i preparativi culinari viaggiano in quella direzione. Colombe dolci e salate, veneziane, casatielli, fiadoni al formaggio,  uova cioccolatose, focacce aromatichepizze al formaggio, puddhricasci e chi più ne ha più ne metta!
Ma se anche voi non avete tempo per dedicarvi ai grandi lievitati di cui sopra, vi suggerisco questi deliziosi bocconcini provenienti dall'entroterra abruzzese, sempre presenti sulla tavola della colazione di Pasqua: i fiadoni dolci, appunto, detti anche soffioni.
Un guscio rustico, corposo e croccante, dato dalla pasta frolla all'olio, che accoglie un ripieno soffice, spumoso, quasi etereo, a base di ricotta e scorza di limone, che rende questi bocconcini davvero irresistibili!
Ah, non fate la colazione di Pasqua? 
Fa niente, fate questi fiadoni e portateli in dono a parenti ed amici insieme ai vostri auguri!
Non fate gli auguri? 
Fa niente, fate i fiadoni per arricchire il vostro buffet di dolci del pranzo di Pasqua!
Non fate il pranzo di Pasqua? 
Fa niente, fate i fiadoni alla prima occasione di un pic nic! Saranno il dolce perfetto, da mangiare con le mani seduti su un prato, da soli o in buona compagnia! :-))))))))))))))))
Insomma, questi fiadoni almeno una volta li dovreste provare! Io me ne sono innamorata al primo assaggio!


Ovviamente, il giorno dopo, i sapori esploderanno in tutta la loro bontà e nei giorni a seguire, diventeranno sempre più nitidi ed intensi.
Ancora una volta, la meravigliosa terra d'Abruzzo ci  regala una bontà degna di nota ed io oggi la condivido con voi.

INGREDIENTI (per circa 20 fiadoni da 5 cm di diametro)

Per la pasta
280 g di farina 00
100 g di zucchero semolato
2 uova
30 g di olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di liquore Strega
2-3 gocce di estratto di vaniglia

Per il ripieno
400 g di ricotta di pecora (o bufala)
4 tuorli
4 albumi montati a neve
90 g di zucchero semolato
scorza grattugiata di due limoni (se possibile appena raccolti)


(clicca per ingrandire)
Prepariamo la frolla
Su un piano di lavoro setacciare la farina ed unirla allo zucchero.
Fare una fontana e versare nel mezzo le uova e l’olio. Impastare prima con una forchetta e poi con le mani, fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Avvolgere in un sacchetto da freezer e lasciare riposare a temperatura ambiente per  una ventina di minuti.
Prepariamo il ripieno
Separare gli albumi dai tuorli e montarli a neve ben ferma, aggiungendo qualche goccia di succo di limone.
Setacciare la ricotta e mescolare con lo zucchero, i tuorli e la scorza di limone finemente grattugiata; unire delicatamente la montata di albumi al composto di ricotta, con una spatola morbida e con movimenti dall'alto verso il basso. Riprendere la pasta frolla e stenderla ad uno spessore di circa 2 mm (potete fare questa operazione con il mattarello o con la nonna papera per un risultato più omogeneo) poi ritagliare dei quadrati di circa 10 cm di lato e foderare con ognuno uno stampino in alluminio, in maniera tale che i quattro vertici del quadrato di pasta restino fuori. Versare in ogni stampino un cucchiaio ben colmo di farcia, richiudere sopra i lembi di pasta senza sigillare; infornare a 170°C  lasciando cuocere per circa 35-40 minuti, poi spegnere il forno, mettere lo sportello in fessura e lasciarli dentro per altri 5 minuti in modo da far uscire l'eccesso di umidità.
Lasciar raffeddare su una gratella e poi conservarre al riparo dall'aria.
Appena raffreddati son da svenimento, ma il giorno dopo ancor di più.
Si conservano sotto una campana di vetro, al riparo dell'aria per 4-5 giorni, ma dubito ce la facciano a durare tanto! ;-)


Ma a proposito di colazione di Pasqua,  da voi è usanza farla?
Qui nel centro Italia è così abbondante e variegata da poter saltare a pie' pari il pranzo e forse pure la cena!!! :-DDD
Dai, raccontateci le vostre usanze! Noi vi aspettiamo qui per lo scambio di qualche chiacchiera e per gli auguri. Che siano giorni di festa lieti e sereni! :-))
A presto!
Emmettì



giovedì 15 marzo 2018

Zeppole di san Giuseppe. Auguri a tutti i papà del mondo!


Un altro dolce è atterrato qui in condominio. A dire il vero è passato prima nella cucina di mia sorella Annarita che, anche lei, una ne pensa e cento ne fa! Non potevo che approfittare dell'occasione, quindi mi sono armata in quattro e quattr'otto di macchinetta fotografica e ho immortalato queste meraviglie!
Vi confesso che è stato il mio primo incontro ravvicinato con la pasta choux. Non avevo mai avuto occasione di sperimentare questa meravigliosa pasta. Incredibile come una massa così corposa e pesante, diventi una nuvola dopo la cottura in forno! Una visione mistica per gli occhi e un piacere puro per il palato!
Non mi dilungo con le chiacchiere oggi. Vi lascio la ricetta di questo dolce che, nella sua semplicità, regala un profumo ed un sapore che sa proprio di coccola!
Ci rileggiamo dopo la ricetta per una piccola cuoriosità ed i saluti.



INGREDIENTI (per circa 10 zeppole da 6,5 cm di diametro)

Per la pasta choux (ricetta tratta dall'enciclopedia della cucina italiana)
150 g di acqua
150 g di farina 00
100 g di latte*
100 g di burro a tocchetti
1 pizzico di sale
4 uova (medio grandi)

Per la crema pasticcera (di L. Montersino)
600 g di latte
150 g di panna
225 g di tuorli (circa 9)a temperatura ambiente
225 g di  zucchero semolato
27 g amido di mais
27 g amido di riso
½ baccello di vaniglia
scorza di un limone grande

Per la decorazione
amarene sciroppate
zucchero a velo


(clicca per ingrandire)
Prepariamo la pasta choux.
In una casseruola versare acqua, latte, burro e lasciare che questo si sciolga mantenendo la fiamma medio/alta. Nel frattempo setacciare la farina e, non appena il burro sarà completamente sciolto, versarla tutta in una volta e mescolare con un cucchiaio di legno (mantenendo la fiamma accesa) fino a quando non si formerà una palla piuttosto compatta che si staccherà dalle pareti della casseruola e sentirete come degli sfrigolii sul fondo della stessa,
Spegnere e, mescolando di tanto in tanto, far intiepidire; unire le uova, una per volta e lavorare con le fruste elettriche fino ad ottenere un impasto morbido e al tempo stesso sostenuto.
Trasferire il composto in una sac à poche con bocchetta a stella e formare le zeppole facendo un giro e mezzo che sale a spirale (vedi foto nel passo passo).
Accendere il forno a 200°C e cuocere per circa 20-25 minuti, o fino a quando l'impasto diventerà dorato. Terminata la cottura lasciare lo sportello del forno in fessura per qualche minuto in modo da favorire l'uscita dell'umidità, poi sfornare e lasciar raffreddare le zeppole su una gratella.

Prepariamo la crema pasticcera.
Montare tuorli e zucchero fino a che diventano chiari e gonfi; di seguito incorporare gli amidi cercando di non smontare il composto. Mettere latte, panna, scorza di limone e semi di vaniglia in un pentolino, dare una veloce mescolata con la frusta e portare quasi ad ebollizione; poi versarvi dentro le uova lavorate con lo zucchero e gli amidi. Attendere che il composto di latte e panna scaldi bene le uova (in pratica il bianco inizia a fuoriuscire dai lati fino a bucare al centro la montata di uova) e poi girare vigorosamente con la frusta fin quando la crema si addensa (12-15 secondi).
Travasare in una ciotola e coprire il tutto con della pellicola trasparente a contatto (per evitare che la superficie faccia la crosticina) e far freddare rapidamente (mettendo magari la ciotolina in una bacinella con acqua e cubetti di ghiaccio).

Farciamo le zeppole.
Quando la crema pasticcera sarà fredda, tagliare le zeppole a metà con un coltello seghettato facendo attenzione a non rompere la pasta. Riempire la base con un giro di crema (abbondate o siate parchi a seconda dei vostri gusti) e richiudere la zeppola con l'altra metà mettendo sopra un altro piccolo giro di crema (come prima) ed un'amarena, lasciando cadere anche un po' del suo sciroppo.
Al momento di servire, dare una leggera spolverata di zucchero a velo e... mordere!! :-DDDDD




TRA STORIA E TRADIZIONE
Le zeppole di San Giuseppe sono un dolce tipico della cucina italiana e derivano da una tradizione antica risalente addirittura all'epoca romana. Sono due le leggende principali che si tramandano: secondo la tradizione dell’epoca romana, dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, San Giuseppe dovette vendere frittelle per poter mantenere la famiglia in terra straniera. Proprio per questo motivo, in tutta Italia, le zeppole divennero i dolci tipici della festa del papà, preparati per festeggiare e celebrare la figura di San Giuseppe.
La seconda leggenda è legata alle "Liberalia" (feste delle divinità dispensatrici del vino e del grano) che venivano celebrate nell'antica Roma il 17 marzo. Per omaggiare Bacco e Sileno, precettore e compagno di gozzoviglie del dio, il vino scorreva a fiumi, e per ingraziarsi le divinità del grano si friggevano delle frittelle di frumento.



Approfitto di questo post per fare gli auguri a tutti i papà del mondo. A quelli vicini, a quelli lontani e a quelli che come stelle brillano nel cielo!
Emmettì.

"Sei tu il mio secondo cuore 
 una luce che riesce a entrare 
 c'è sempre bisogno di te 
 c'è ancora bisogno di te 
 ho sempre bisogno di te più me 
 c'è sempre bisogno di te 
 adoro il bisogno di te 
 da sempre ho bisogno di te."
                                                                          Paola Turci